L’architetta Simona Giovannetti fotografata dall’artista Pablo Massa
Sono arrivata all’Elba per caso, ero una bambina, avevo dieci anni. Abitavo a Taranto con la mia famiglia e mio padre lavorava all’Italsider, oggi Ilva, acronimo che neanche a farlo apposta richiama il nome latino dell’isola d’Elba. Un nome, un destino.
Volevamo trasferirci, gli avevano proposto Cogne, in Valle d’Aosta. Aveva accettato, ma appena sceso alla stazione fu colto un attacco d’asma allergica. Cogne non era il posto dove ci saremmo trasferiti. La proposta successiva fu l’Elba, dove Italsider gestiva le miniere per l’estrazione del ferro.
È così che sono arrivata sull’isola, per pura coincidenza.
Spesso mi sono chiesta come sarebbe cambiata la mia vita se fossi cresciuta in montagna anziché al mare. Penso che l’elemento liquido mi avrebbe comunque chiamata a sé. Perché sono donna di mare. Visceralmente legata all’Elba e così orgogliosamente isolana che ogni volta che sono lontana trovo sempre il modo di rimarcare la mia provenienza.
L’Elba mi ha dato molto. Ho sempre coltivato la passione per il design, che secondo l’opinione comune avrei potuto sviluppare solo frequentando i salotti buoni e le conoscenze giuste a Milano, Parigi, Londra, New York. I miei compagni alla facoltà di Architettura, che avevano lo stesso sogno nel cassetto, era lì che vivevano, nelle capitali indiscusse della moda e del design. Invece, testardamente, sono rimasta sull’isola e, dopo anni passati a progettare case, ho creato DAMPAÌ, un progetto ambizioso di borse di design e accessori che ha robuste radici sul territorio. Tutti i componenti della factory, ad esempio, vivono all’Elba e fin dall’inizio le nostre campagne pubblicitarie hanno coinvolto solo persone dell’isola, che si sentono dunque partecipi di un’idea corale.
Nel 2017 ho trasferito il magazzino e aperto un piccolo laboratorio all’interno del carcere Pasquale De Santis, nel Forte San Giacomo a Porto Azzurro. Da quel momento il legame e la complicità con la mia isola si sono rafforzati, se possibile, ancora di più.
L’esperienza del carcere, con persone recluse da anni, sta modificando il mio modo di sentire e di organizzare il lavoro. Bisogna vivere questa esperienza per capirla. Oggi ho due dipendenti, Sinan e Yosmari. Zhang si è avvicinato a casa, sfruttando l’opportunità che gli è stata concessa dopo quasi due anni di eccellente lavoro per Dampaì. Con Yosmari taglio, cucio e mi occupo del magazzino, mentre a Sinan ho affidato la gestione dello shop online. Si è creato un clima d’intesa, di rispetto autentico. E si produce. C’è l’orgoglio di aver fatto insieme qualcosa di buono, non è scontato. Sta funzionando.
La percezione di gratitudine e la sensazione di aver costruito qualcosa in cui credo mi hanno focalizzato ulteriormente sul mio progetto. Sono convinta che si debba osare, che si debba avere il coraggio di lanciarsi in un’impresa in cui si crede, e poi anche le difficoltà si riescono a superare.
“CASE MODERNE HÄUSER”
SCOPERTE ARCHITETTONICHE ALL’ISOLA D’ELBA – Pacini Editore
Tra le scoperte architettoniche all’Elba che l’editore Pacini ha raccolto nel libro “CASE MODERNE HAUSER” – da Roberto Gabetti e Aimaro Isola a Gio Ponti – è stato un piacere e un motivo d’orgoglio trovare un mio progetto di ristrutturazione e ampliamento di una villa situata a Capo Bianco, uno dei luoghi più suggestivi dell’isola.
Nel suddetto progetto ho trasformato “Villa Meroni” proponendo una nuova tipologia più consona al territorio costiero dove si inserisce il fabbricato, mantenendo tuttavia i materiali esistenti e le ampie aperture già presenti nell’edificio originario.
La direzione dei lavori è stata curata egregiamente dal geometra Mauro Zamboni con il quale, in profonda amicizia e stima, ho lavorato per tanti anni nello studio tecnico e di progettazione a Portoferraio, che ho lasciato nel 2018 per seguire DAMPAÌ.
IL PROGETTO “villa Meroni”
stato attuale
stato di progetto