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A Cini Boeri

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La storia e le biografie mi hanno sempre appassionata. Le fonti di ispirazione per i miei progetti, che siano di architettura o di design, sono spesso figure di donne. Vicende, le loro, che parlano di talento, visionarietà, nuovi linguaggi e quasi totale assenza di riconoscimento sociale. Da qualche anno, ho deciso di legare in maniera diretta la mia progettazione alla loro memoria. I nomi degli oggetti di design Dampaì da indossare sono un tributo alle personalità femminili che sento più vicine a me.

Una di queste è l’architetta italiana Cini Boeri.

A Cini

“Il lavoro dell’architetto è un lavoro duro, non femminile. Non mi pare che lei sia adatta. Ci ripensi”. È l’agosto del 1943 e l’architetto Giuseppe De Finetti tenta di dissuadere in questo modo una giovane Cini Boeri che, per fortuna, non gli dà retta, diventando così uno dei grandi protagonisti dell’architettura italiana.

Maria Cristina Mariani Dameno è nota col nome di Cini, diminutivo di “picinin”, con cui veniva chiamata dai familiari, e col cognome del marito Renato Boeri al quale fu legata per 25 anni e il cui cognome decise di mantenere anche dopo la separazione.

Nata a Milano nel 1924, nel 1951 si laurea al Politecnico in una classe universitaria con solo altre due donne. Dopo un breve stage nello studio di Giò Ponti e la lunga collaborazione con Marco Zanuso, apre il proprio studio nel 1963 dedicandosi ad architettura civile e disegno industriale.

Progetta in Italia e all’estero case unifamiliari, appartamenti, allestimenti museali, uffici, negozi, dedicando grande attenzione allo studio della funzionalità dello spazio e ai rapporti psicologici tra l’uomo e l’ambiente.

Da designer firma pezzi celebri come il tavolo Lunario per Knoll, la poltrona Ghost per Fiam, esposta al MoMA di New York, e il divano componibile Strips per Arflex, che le vale il Compasso d’Oro nel 1979.

Insegna al Politecnico dal 1981 al 1983.

La celebre architetta milanese è, insieme a Gae Aulenti, tra le poche donne progettiste ad aver trovato uno spazio importante nel panorama italiano e internazionale.

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Bernarda Handbag Cini:

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Ventosa (di vento)

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Può il design oggi unire le persone e mettere in circolo la dignità del lavoro?

Simona Giovannetti, anima creativa di Dampaì, e l’ex direttore del carcere di Porto Azzurro Francesco D’Anselmo nel 2017 hanno dato vita ad un progetto che travalica l’interesse commerciale e si fa impresa sociale, perché mette al centro le relazioni tra persone, che insieme realizzano oggetti dalle linee fortemente caratterizzate.

Dampaì da sempre inserisce temi d’attualità e azioni fuori dagli schemi produttivi classici nelle sue creazioni, facendo spesso parlare di sé. È così che dal 2017 Dampaì ha trasferito il suo magazzino all’interno della Casa di reclusione ‘Pasquale De Santis’. Da questa esperienza è maturata l’idea di aprire un vero e proprio laboratorio di produzione artigianale. Due detenuti sono stati scelti sia per gestire il magazzino che per realizzare i nuovi accessori moda. Il primo prezioso frutto di questo delicato lavoro di squadra è stato la messa in commercio nei Dampaì Stores dell’isola d’Elba di modelli di borse interamente confezionate all’interno del carcere come la Two una borse a mano/tracolla in gomma espansa,  la borsa in gomma Lilly che è trasformabile in zaino, o tutti i modelli Plautilla n°1, Plautilla n°2, Plautilla n°3 e la Pouch,  il Portacellulare sempre in gomma, e tutti i Cestoni da casa in pelle rigenerata o in gomma.

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Ma c’è di più, il progetto “Ventosa (di vento)”.

Una borsa in pelle realizzata a mano, con grandi cuciture in pelle e in diversi colori che il cliente può scegliere, con l’aiuto di simulazioni computerizzate, tra più soluzioni. Attraverso il nostro shop online (www.dampai.it), una volta scelta la propria combinazione e conosciuti i tempi di realizzazione, il cliente può ordinare la propria borsa personalizzata ed un detenuto la produce appositamente per lui. Questa filiera di produzione permette di realizzare borse dalla foggia unica perché personalizzata e, soprattutto, permette un vero e proprio scambio tra cliente e detenuto.

Obiettivo: ridurre il profondo sentimento di isolamento del detenuto attraverso una sorta di abbattimento di barriere psicologiche tra il dentro e il fuori.

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VENTOSA (di vento)

Zhang sta scontando la sua lunga condanna nel carcere di Porto Azzurro, all’isola d’Elba dove vivo.

Io disegno borse e accessori moda/design. La Dampaì srl è la mia azienda.

Il magazzino dell’azienda è all’interno della struttura carceraria dove, nel 2017, ho incontrato per la prima volta Zhang.

Zhang ha scontato già gran parte della sua pena e pertanto a, seguito di un contratto di lavoro, può uscire dal carcere.

Ho assunto Zhang nella primavera del 2018 e, da allora, si occupa della gestione del magazzino e del rifornimento esterno ai Dampaì Stores presenti sull’isola d’Elba.

Zhang non ha la patente e non può guidare il mio furgoncino aziendale, così abbiamo comprato una bicicletta elettrica perché possa effettuare i rifornimenti più vicini.

Le prime due volte che Zhang è uscito in bicicletta, ha preso la febbre.

“Ma come Zhang! Grande e grosso come sei, e prendi la febbre?” domando io.

“Non ero più abituato al vento” risponde lui.

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Testo di Claudia Lanzoni

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A Lilly Reich

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La storia e le biografie mi hanno sempre appassionata. Le fonti di ispirazione per i miei progetti, che siano di architettura o di design, sono spesso figure di donne. Vicende, le loro, che parlano di talento, visionarietà, nuovi linguaggi e quasi totale assenza di riconoscimento sociale. Da qualche anno, ho deciso di legare in maniera diretta la mia progettazione alla loro memoria. I nomi degli oggetti di design Dampaì da indossare sono un tributo alle personalità femminili che sento più vicine a me.

Una di queste è la designer tedesca Lilly Reich.

Mi piace ricordare la sua storia esemplare.

A Lilly

Donna di forte personalità, Lilly si forma a Vienna, allieva dell’architetto Josef Hoffmann, e diviene poi compagna, socia e amministratrice di Mies van Der Rohe al cui nome è legata la sua fama.

Fra il tessuto e l’architettura Lilly si specializza in tappezzeria, tessuti e abiti. Possiede una rara combinazione di capacità artistiche e organizzative e diventa uno dei punti di riferimento nell’organizzazione e realizzazione di mostre e fiere, alcune passate alla storia sia dell’arte decorativa sia dell’architettura.

Insieme a Mies van der Rohe realizza progetti moderni e innovativi, dimostrando un uso dinamico dei materiali, nuove forme e concezioni dello spazio sia in nuovi modelli di abitazione, come Villa Tugendhat (1928-30), che nelle grandi esposizioni come Café Samtund Seide (1927), uno spazio completamente aperto ma diviso da pareti di tende e tessuto appese a guide metalliche sospese in aria, o l’esposizione Internazionale di Barcellona del 1929, diventata famosa proprio per il padiglione di Mies e che fu prova della forza dell’industria tessile tedesca.

Pubblica uno scritto sulla moda proponendosi di lanciare un nuovo modo di vestire, sobrio e privo di ammenicoli.

“I vestiti – scrive – sono oggetti d’uso e non opere d’arte … devono formare un tutto unitario con la donna che li indossa, esprimendone lo spirito e contribuendo all’arricchimento della sua anima e del modo di sentire la vita”.

Quando Mies van der Rohe diventa direttore della Suola del Bauhaus, Lilly Reich lo raggiunge e ottiene la cattedra di Interior Design fino alla fine del 1930. Purtroppo quando Mies, trasferitosi negli Stati Uniti, diviene celebre, cancella Lilly dalla propria storia, contribuendo ad offuscarne la fama.

Lilly Reich è praticamente assente dai comuni testi di storia dell’architettura.

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Bernarda Handbag Lilly: